Dopo il voto del Parlamento Ue che apre alla possibilità di abbattimenti selettivi, in Italia si riaccende il dibattito. Tra numeri ufficiali, conflitti locali e strategie opposte: come si può (e si deve) convivere con i lupi?
Il parlamento europeo ha votato per il declassamento del lupo da specie “rigorosamente protetta” a specie semplicemente “protetta”. Una differenza non solo linguistica, ma che apre a una svolta concreta: gli Stati membri potranno infatti autorizzare piani di abbattimento selettivo, anche in assenza di emergenze immediate.
È un passaggio che cambia le regole della convivenza tra lupi e umani, e insieme racconta una storia fatta di contrapposizioni. Perché la paura del lupo ha radici lontane, sedimentate nell’inconscio collettivo attraverso fiabe e leggende. Ma ha anche risvolti molto reali, che oggi mettono su due fronti opposti allevatori e animalisti, soprattutto in Italia. Proviamo a capire perché.
Il ritorno del lupo
Negli anni Settanta il lupo sembrava sul punto di scomparire dal territorio italiano. Secondo le stime più attendibili, ne sopravvivevano poche centinaia, concentrate in zone remote dell’Appennino centro-meridionale. Erano tempi in cui la caccia era ancora tollerata senza troppi limiti, le leggi di protezione erano deboli e l’idea stessa di conservazione della fauna selvatica era tutt’altro che radicata.
A cambiare le cose fu un insieme di fattori: la protezione legale introdotta con la legge 157 del 1992, il progressivo spopolamento delle aree montane, la ricrescita delle foreste e soprattutto l’aumento degli ungulati, che negli anni successivi avrebbero offerto una nuova abbondanza di prede. È in questo contesto che il lupo ha cominciato a rioccupare lentamente le sue antiche aree.
Dapprima lungo l’Appennino, poi anche nelle Alpi, dove negli anni Duemila sono tornati branchi stabili, in gran parte grazie alla naturale dispersione di esemplari giunti dalla Francia. Oggi il lupo è presente in quasi tutto il territorio nazionale, e in particolare in oltre il 75 per cento delle aree considerate idonee alla sua presenza.
I biologi definiscono questa come una riconquista “spontanea”, ovvero frutto di dinamiche ecologiche più che di reintroduzioni artificiali (a differenza di quello che ad esempio è accaduto per l’orso in Trentino).
Ma il successo conservazionistico porta con sé nuove tensioni. Perché se il lupo è tornato, non ha trovato più il s
ilenzio delle montagne abbandonate, ma un mosaico complesso di pascoli, allevamenti, aree turistiche, strade e paesi. E con la sua presenza, sono tornati anche i conflitti.Cosa succede ora
Il voto del parlamento europeo è arrivato con una larga maggioranza: 371 favorevoli, 162 contrari e 37 astensioni. Fra i partiti italiani — divisi nei diversi gruppi europei — hanno votato a favore Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e l’Svp (gli autonomisti altoatesini). Hanno votato invece contro gran parte dei parlamentari di Partito democratico, Movimento cinque stelle e Alleanza Verdi e Sinistra.
La risoluzione propone di modificare lo status di protezione del lupo, che da specie “rigorosamente protetta” — come definito dalla Direttiva Habitat — passerebbe a “protetta” in senso più blando.
Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha confermato che l’Italia recepirà il nuovo quadro europeo attraverso un decreto ministeriale. La cornice normativa è quella dell’articolo 16 del Dpr 357/97, che disciplina le deroghe alla tutela di specie animali e vegetali di interesse comunitario. In pratica, prevede che possano essere concesse deroghe in circostanze specifiche e limitate, come la tutela della salute umana, la sicurezza pubblica o la prevenzione di danni significativi alla fauna o alla flora.
Il ministero, in coordinamento con Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), sta già lavorando alla definizione di criteri per individuare i lupi considerati “problematici”, al fine di valutare eventuali misure di rimozione mirata. «L’obiettivo non è abbattere indiscriminatamente — ha dichiarato Pichetto Fratin — ma trovare un equilibrio tra la tutela della biodiversità e la sicurezza degli allevatori».
Il punto è proprio questo, ed è quello su cui si fonda tutto il dibattito: come si garantiscono due interessi all’apparenza inconciliabili?
Intanto, alla Camera è in discussione il cosiddetto ddl Montagna, che prevede la possibilità per le regioni di stabilire annualmente un numero massimo di lupi da abbattere, con l’autorizzazione di Ispra. La norma — contestata dal mondo ambientalista — punta a rafforzare le competenze locali nella gestione dei grandi carnivori.
Il lupo in Italia
Al di là delle emozioni, talvolta ancestrali, che il lupo continua a evocare, ogni decisione sulla sua gestione dovrebbe poggiare su un presupposto: sapere quanti lupi ci sono e dove si trovano. È un’impresa tutt’altro che semplice, trattandosi di una specie elusiva, mobile, spesso attiva di notte e in territori vastissimi.
Nel 2021 l’Italia ha realizzato, per la prima volta, un monitoraggio nazionale standardizzato, coordinato da Ispra e da Federparchi. Hanno partecipato oltre 3.000 operatori tra enti pubblici, università, parchi e volontari. I risultati, pubblicati anche in un articolo scientifico nel 2024 sulla rivista Ecology & Evolution, hanno fornito la fotografia più affidabile a oggi disponibile.
Secondo le stime ufficiali, i lupi presenti in Italia sono circa 3.300 (con un intervallo compreso tra 2.945 e 3.608): 2.388 sono nell’Italia peninsulare, 946 nelle Alpi, dove la specie si è reinsediata in modo spontaneo dagli anni Duemila.
La presenza del lupo è stata rilevata su circa 150.000 chilometri quadrati, pari a oltre il 75 per cento delle aree considerate idonee. In alcune regioni, la densità è ormai paragonabile a quella di aree protette europee. Per arrivare a questi numeri sono stati integrati modelli statistici avanzati, analisi genetiche non invasive, dati di fototrappole e segni di presenza raccolti sul campo.
La conclusione dei ricercatori è che la popolazione di lupo in Italia è stabile e diffusa, ma che ogni futuro monitoraggio dovrà coprire almeno il 30 per cento del territorio con metodologie genetiche, per mantenere un livello adeguato di precisione.
Se da un lato questi numeri smentiscono l’idea di una crescita fuori controllo, dall’altro confermano che la presenza del lupo è ormai strutturale, e che il tema non è più se tornerà, ma come convivere con lui.
Punti di vista
In Trentino, nel solo 2024, sono stati registrati 467 capi domestici predati da lupi (principalmente ovicaprini), con oltre 92mila euro di indennizzi riconosciuti dalla Provincia. Un impatto zootecnico superiore, per numero di eventi, persino a quello degli orsi. E mentre i branchi sul territorio restano stabili (27 nel 2023, la maggior parte con cucciolate accertate), aumentano le tensioni con il mondo agricolo.
Situazioni simili si registrano anche in altre regioni: in Lombardia, nel 2024 sono stati segnalati più di 100 casi di predazione attribuiti al lupo, con 21 branchi accertati. In Piemonte, alcuni allevatori denunciano attacchi “quasi settimanali”, e nelle Langhe si contano oltre 70 richieste di risarcimento. A Piacenza, recentemente, una vacca adulta è stata sbranata poche ore dopo il parto.
Le associazioni agricole chiedono misure più incisive: meno burocrazia per gli indennizzi, maggiore sorveglianza e appunto di libertà di intervenire sugli esemplari considerati “problematici”. Coldiretti e Confagricoltura parlano apertamente di “emergenza” e invocano un ruolo più attivo delle Regioni.
Dal fronte opposto, le organizzazioni ambientaliste invitano a ridimensionare la narrativa del pericolo. Ad esempio, secondo Andrea Zanoni (Verdi Veneto), «recinzioni elettrificate, cani da guardiania e ricoveri notturni per il bestiame sono soluzioni concrete che, quando implementate correttamente, riducono drasticamente le predazioni». Il vero problema, afferma, «è la mancata adozione sistematica di queste misure, non la presenza dei lupi».
Ed è proprio su questi punti di vista opposti che il dibattito continuerà a contrapporre due modelli diversi di convivenza con i lupi.
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