Nonostante la chiusura della centrale fosse nota da tempo, la sensazione è che non ci fosse una reale volontà politica. Fondamentale è stato il ruolo dei cittadini, che da sempre chiedevano un futuro verde per l’area industriale
Otto mesi. È questo il tempo che manca alla chiusura della centrale a carbone di Torrevaldaliga Nord, a Civitavecchia, prevista per il 31 dicembre di quest’anno. Ma manca ancora un piano chiaro per il futuro dell’area e dei lavoratori coinvolti, in un ritardo che pesa e che oggi impone una corsa contro il tempo per trovare una soluzione a un problema che avrebbe richiesto una programmazione efficace e investimenti adeguati con anni di anticipo.
Già il precedente Pniec, il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, varato sotto il governo Conte con il ministro Costa, prevedeva il phase out del carbone per l’Italia. Ma non se n’è fatto nulla.
«La città ha perso tempo sull’illusione che non si sarebbe arrivati alla chiusura», ha detto a Domani Pietro Alessi, assessore alle Attività produttive, Turismo, Lavoro e personale. Per anni infatti si è sperato in una proroga o in una soluzione tampone che evitasse la fine della produzione a carbone, come in effetti accadde con lo scoppio della guerra in Ucraina e la conseguente crisi del gas del 2022, senza però pianificare un’alternativa solida.
Oggi ci si trova a fare i conti con un futuro incerto per centinaia di lavoratori, tra contratti di solidarietà e un indotto che rappresenta una fetta significativa dell’economia locale. «Ci dobbiamo porre il problema per il prossimo futuro», sottolinea l’assessore, facendo riferimento alle sfide occupazionali che ora si presentano senza una risposta adeguata.
Just Transition Fund
Un altro interrogativo centrale riguarda l’esclusione di Civitavecchia dal Just Transition Fund (Jtf), il fondo europeo che sostiene le aree più colpite dalla transizione energetica. Altri poli industriali, come Taranto e il Sulcis, hanno ottenuto l’accesso a questi finanziamenti, mentre la città laziale è rimasta fuori da questa strategia di sostegno.
Una scelta che lascia aperti molti interrogativi: una mancata volontà politica? Assenza di un progetto concreto di riconversione? O semplicemente un’errata valutazione della crisi occupazionale e industriale che la chiusura di TVN avrebbe generato? Secondo Mario Agostinelli, ex ricercatore Enea e sindacalista Cgil, «c’è stata una resistenza del governo nei confronti della transizione della centrale», dato che la riconversione non era «tra le priorità».
Sarebbe stato necessario affiancare a questi investimenti una strategia industriale più ampia, capace di creare un tessuto economico alternativo. «Sarebbe stato utile già da prima lavorare con maggiore convinzione all’alternativa delle rinnovabili», afferma ancora l’assessore. Oggi, invece, ci si trova a inseguire soluzioni in extremis e con la speranza che Civitavecchia venga finalmente considerata come “un’area di particolare attenzione”, in grado di attrarre risorse significative per affrontare la transizione.
L’attuale amministrazione comunale, eletta a giugno 2024, punta ancora sul progetto di eolico offshore e sulla realizzazione di un impianto di componentistica nell’attuale sito industriale. Tuttavia, solo a febbraio 2025 il Ministero delle imprese e del made in Italy ha aperto una manifestazione di interesse per la reindustrializzazione dell’area.
«L’avvio della consultazione pubblica rappresenta un’importante opportunità nel percorso di phase-out della centrale Enel di Civitavecchia, per delineare con le imprese una visione chiara e condivisa per la riqualificazione e lo sviluppo dell’intero territorio», disse a suo tempo il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Ma, secondo Agostinelli, «se non si fosse mossa la città, i dipendenti, i sindacati, le Asl», tutto questo non sarebbe mai avvenuto, perché «Civitavecchia rappresentava una novità a livello nazionale, che sarebbe diventata un esempio paradigmatico per la transizione energetica».
La situazione rimane complessa, anche se qualche spiraglio si inizia a vedere. «Ora aspettiamo la manifestazione di interesse. Enel sta aspettando i termini della chiusura, che ancora non sono stati indicati», spiega Alessi. Nonostante la data di chiusura della centrale sia stata decisa da tempo, il governo non ha ancora indicato quale sarà il cronoprogramma, e di conseguenza nemmeno Enel può pianificare la chiusura progressiva dei gruppi.
«Risposte chiare sulle tempistiche non ce l’ha Enel e non ce le abbiamo noi», aggiunge. Dopo la conclusione della fase di manifestazione di interesse, sarà attivato il tavolo per l’accordo di programma, ma restano ancora incerti i tempi per la chiusura definitiva e per l’avvio di nuovi progetti.
Tyrrhenian Wind Energy
Tra i progetti di transizione più rilevanti per Civitavecchia c’è il Tyrrhenian Wind Energy, promosso dal consorzio Divento. Questo consorzio include partner come Rwe Renewables, Fincantieri, Acciaierie d’Italia e Cetena, con l’obiettivo di realizzare un parco eolico galleggiante al largo della costa di Civitavecchia. Il progetto prevederebbe la costruzione di un impianto da 540 MW con 27 turbine in mezzo al mare, capaci di produrre energia rinnovabile sufficiente a coprire il fabbisogno di circa 600mila famiglie.
L’obiettivo è trasformare Civitavecchia in un hub strategico per l’eolico offshore, non solo come sede del parco, ma anche attraverso lo sviluppo di una filiera industriale locale. Un’idea che non è nuova: un progetto simile era stato proposto quasi vent’anni fa, ma è rimasto fermo a causa di ritardi burocratici e mancanza di finanziamenti.
Ora si prevede la possibilità di realizzare parte della componentistica all’interno delle aree industriali dismesse, creando nuove opportunità di lavoro. Tuttavia, perché l’iniziativa diventi realtà, servono certezze sugli iter autorizzativi e sulle infrastrutture di supporto, aspetti ancora in fase di discussione.
Un altro tassello chiave si è però aggiunto lo scorso primo aprile 2025, quando la Commissione Via (Valutazione di impatto ambientale) ha svolto una serie di approfondimenti tecnici nella cittadina laziale proprio per valutare l’impatto ambientale dell’impianto eolico offshore proposto dal consorzio Divento. Agostinelli sottolinea che «ci sono sensazioni positive» al riguardo.
L’approvazione della Via rappresenterebbe un passaggio fondamentale ma non basta da sola: a quel punto servirebbero investimenti certi e tempi definiti per garantire che questo diventi operativo in tempi utili e possa offrire una reale alternativa occupazionale ai lavoratori della centrale e dell’indotto. Infatti uno dei punti principali della discussione è quello di garantire la continuità occupazionale per i 1.200 lavoratori che oggi rischiano il licenziamento con la chiusura della centrale.
Un’occasione mancata
La chiusura della centrale di Civitavecchia si inserisce in un contesto più ampio in cui l’Italia fatica a gestire la transizione ecologica con la necessaria tempestività e programmazione.
Il rischio concreto è quello di replicare scenari già visti altrove: territori lasciati senza prospettive occupazionali e senza una chiara strategia di sviluppo alternativo, andando contro lo stesso concetto di “giusta transizione”. Ma per evitare ciò servono lungimiranza e una visione di futuro, che vada al di là della sola tornata elettorale.
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