Un mezzo passo indietro, ma con spavalderia e tempismo invidiabile, con appena un po’ d'anticipo sul discorso autoassolutorio di Giorgia Meloni di fronte alla platea di Confindustria. L’ad di Unicredit Andrea Orcel, al 129esimo consiglio nazionale della Fabi, ha definitivamente messo da parte le ambizioni di scalare Banco Bpm. Complici le tempistiche dilatate del responso del Tar del Lazio sul golden power e l’attesa del giudizio dell’Antitrust europeo, Orcel ha ammesso che l’operazione è «valida industrialmente, valida strategicamente, però si scontra su visioni diverse che rendono l’operazione de facto non economica».

Il riferimento è al golden power impiegato dal governo: a causa dei nuovi paletti imposti dall’esecutivo, i costi aumentano e le cose si complicano. Il pronunciamento «non arriverà in tempo per darci certezza della chiusura dell’operazione» su Banco Bpm, che per questo «potrebbe decadere».

Insomma, uno dei fronti aperti di Orcel starebbe per chiudersi, ma il numero uno di Unicredit non si perde d’animo. «Può essere sempre riproposta», ha aggiunto dal palco. Poi, quasi a smussare la promessa di un secondo tempo: «Il nostro ricorso al Tar è una questione di chiarezza, non di combattimento». Tramonta anche l’ipotesi della scalata di Banca Generali. «Può escluderlo», ha risposto il banchiere a chi gli chiedeva conto del consiglio che di Carlo Messina, ad di Intesa Sanpaolo, che lunedì, dallo stesso palco, lo aveva invitato a desistere da un’ulteriore operazione da aggiungere a quelle già in corso.

La maggioranza guarda a tutto questo con serenità. E sereni, fanno capire, sono anche gli stakeholder dell’operazione Mps del gruppo Caltagirone e Delfin. «Duelli rusticani a distanza», commenta un parlamentare di lungo corso, che riflette su eventuali malesseri che possano essersi creati attorno alle due partite parallele che si stanno giocando nel settore bancario. «Magari dalle parti di Intesa non hanno apprezzato che le attenzioni del governo fossero su Mps?» A prevalere sulla preoccupazione per lo sviluppo positivo dell’ops su Mediobanca (a cui, ha anticipato il ceo dell’istituto senese, potrebbe seguire una seconda operazione su Banco Bpm) c’è ancora l’irritazione per il tiro mancino del presidente di Consob, Paolo Savona, al governo. «Assurdo avere un presidente di authority che fa l’esatto opposto di quello che ci si aspetterebbe, visto che avrebbe dovuto votare assieme ai due consiglieri finiti in minoranza», commentano in zona Lega, da dove pure Savona arrivava.

Il tema Consob

A destra resta infatti grande lo stupore per l’inatteso protagonismo dell’ente che ha deciso di sospendere per trenta giorni l’operazione di Unicredit su Banco Bpm come da richiesta di Orcel, che ha rivelato quanto – dal punto di vista del governo – la scelta di derubricare l’authority a ricettacolo di un ministro silurato ai tempi del governo gialloverde sia stato alla lunga controproducente.

Sempre per non rinunciare del tutto alla sfida del governo (e al rivale-collega Messina) Orcel si è comunque tolto dalle scarpe altri sassolini, ribadendo che nella gara a chi detiene più titoli di stato Unicredit si piazza davanti a tutti. Una replica al numero uno di Intesa che citava come prova di patriottismo i 400 miliardi di risparmi degli italiani che non «possiamo essere liberi di portare da un’altra parte». Ma l’ad di Unicredit ne ha anche per il governo: ha detto di non aver bisogno di fusioni perché «è qualcosa che deve aggiungere valore a quello che ho, non ridurre il mio valore per fare un favore agli altri che invece hanno spremuto il limone fino a farlo diventare senza nessun sugo dentro». Un riferimento a un governo iperinterventista, per Orcel, troppo spesso pronto a usare i suoi strumenti, primo fra tutti il golden power.

«L’influenza degli stati e dei governi sulle operazioni di mercato è diventata molto significativa». Un attivismo in linea con quello di altri esecutivi continentali, certo. Con la differenza che rispetto a quanto sta succedendo sul mercato italiano, nella partita per l’acquisizione di Commerzbank – che il governo tedesco fino a questo momento non ha mai guardato di buon occhio – il tempo per piazza Gae Aulenti può essere galantuomo. «Noi abbiamo su Commerzbank il 30 per cento», ha detto il manager. «Non abbiamo mai lanciato l’operazione. Siamo persone educate e corrette e aspettiamo i tempi giusti. Ciò non toglie che abbiamo il 30 per cento di Commerzbank; non abbiamo nessuna fretta. Aspetteremo di parlare col governo tedesco».

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