Caporalato, falsificazione dei prodotti, controllo della logistica, appropriazione dei terreni. Usura, furto, cybercrime. Il settore agroalimentare è sempre più attrattivo per i clan. E, come rivela il nuovo rapporto di Coldiretti, Eurispes e Fondazione Osservatorio Agromafie, il business della criminalità organizzata è in crescita: sale a 25,2 miliardi, raddoppiando nel giro di un decennio il volume d’affari.

Affari realizzati sulla pelle dei più fragili: è d’altronde questo il dato che con forza emerge dal dossier presentato ieri, martedì 20 maggio, a Roma. In Italia – è scritto nel report – i lavoratori vengono sfruttati, utilizzati senza tutele come merce da organizzazioni transnazionali che agiscono come agenzie di intermediazione illecita della manodopera.

«L’impresa agricola viene trasformata in un teatro di abusi, cinica e spietata rispetto alla tutela dei lavoratori», ha precisato il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo, davanti al capo del dicastero dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, e al sottosegretario alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto. Secondo il magistrato «il fenomeno è spesso sottovalutato, ma oggi un cambio di passo viene dato dal disegno di legge recentemente approvato dal Consiglio dei ministri».

Il riferimento è al ddl che introduce nel codice penale un nuovo titolo dedicato ai delitti contro il patrimonio agroalimentare, accogliendo le proposte della legge Caselli e introducendo il reato di frode alimentare. Basterà a contrastare il caporalato? I dati sono allarmanti. Insieme alle storie.

Non è un caso che nel report venga citata la «vicenda del bracciante indiano Satnam Singh, morto il 19 giugno 2024 dopo essere rimasto gravemente ferito ed essere stato abbandonato di fronte a casa con il braccio amputato dall’imprenditore agricolo presso cui era impiegato senza contratto a Latina».

Un fatto, si legge ancora, che «mostra in modo plastico come lo sfruttamento lavorativo e il mancato rispetto dei più elementari diritti siano ancora ben presenti in alcune sacche del comparto agricolo».

L’inganno

Ma non solo caporalato. Un altro fenomeno preso in considerazione dal rapporto è quello dell’italian sounding, nella pratica il commercio di prodotti che di italiano hanno il nome e alcun legame produttivo con il Paese. In aumento, così, i reati di agropirateria internazionale, di cui il Parmesan, clone di Parmigiano Reggiano e Grana Padano, o le varie imitazioni del Prosecco (l’ultimo, il Calsecco californiano), rappresentano i simboli più noti.

Si tratta di un mercato che ha raggiunto il valore record di circa 120 miliardi di euro, pari a quasi il doppio di quello dell’export agroalimentare totale. «Uno scandalo che ha portato oltre diecimila agricoltori della Coldiretti alle frontiere, dal Brennero ai porti di Civitavecchia, Salerno e Bari, per chiedere un cambio di passo – è scritto nel report – con una raccolta di firme per una legge popolare che garantisca l’introduzione dell’obbligo dell’indicazione del Paese d’origine in etichetta su tutti i prodotti alimentari in commercio nell’Unione Europea».

Nel frattempo le infiltrazioni si estendono anche ad altri settori: ristorazione, mercati ortofrutticoli e grande distribuzione, spesso venduti nei discount. Il rapporto parla di vere e proprie «frodi alimentari», e di false certificazioni bio da importazioni dell’Est Europa.

L’appello resta pertanto quello di vigilare: i fondi pubblici e il controllo di mercati e appalti sono a rischio, con l’aiuto di professionisti compiacenti e documenti falsi.

«Le agromafie oggi puntano alla filiera agroalimentare allargata il cui valore è salito alla cifra record di 620 miliardi di euro e con un export da 69,1 miliardi – ha dichiarato il presidente nazionale di Coldiretti e dell’Osservatorio agromafie Ettore Prandini -. Denunciamo lo sfruttamento in ogni parte del mondo perché la problematica delle agromafie non è solo italiana come dimostra il rapporto.

Si va dal caporalato trasnazionale allo sfruttamento dei bambini che per noi si combatte anche con accordi internazionali basati sul principio di reciprocità. L’Europa dovrebbe puntare l’attenzione su questi fenomeni utilizzando il modello di controlli e contrasto come quello italiano». Da non dimenticare, segnala di fatto il rapporto, gli illeciti fraudolenti nella gestione dei fondi europei destinati all’agricoltura.

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