Pubblichiamo di seguito un estratto di Caccia all’omo – Viaggio nel paese dell’omotransfobia di Simone Alliva edito da Fandango


L’Italia brancola nell’omotransfobia come non aveva mai fatto prima. È una nebbia fitta quest’odio. Nasconde i volti e libera le mani. Si dovesse approvare una legge per contrastarla, resterà sempre sotto la cenere il carbone acceso di un odio ormai sdoganato. E oltre quello, il sospetto che lo sforzo di mettere insieme le diversità, di ricavarne un popolo civile, aperto, moderno, sia naufragato nel fallimento.

Naufragato proprio nel momento in cui i diritti civili erano diventati una conquista in sostanza acquisita, le persone Lgbtq+ detenevano cariche di giusta importanza, l’omotransfobia andava spegnendosi in pentimento e ridicolo. Mentre succedeva questo, l’Italia ribolliva, brontolava minacce. La domanda da porsi è chi, e quando, abbia acceso la miccia.

L’hanno accesa quelli che durante le unioni civili paragonavano «il matrimonio gay all’Isis»? Oppure il Family Day che armava le piazze? I giornalisti che con superficialità associavano nequizie alle notizie sulle persone Lgbtq+?

Questo è un libro scritto per capire, per sapere cosa pensa una persona che ne ammazza un’altra senza conoscerla. Un libro che cerca di provare qualcosa: l’omotransfobia non è un’emergenza. È sotto la pelle delle persone che la abitano. È una paura che scatta. È cultura diffusa, radicata e amorevolmente gestita.

Questo libro non vuol essere niente di più di ciò che è: una finestra e uno specchio. Sulla vita delle persone Lgbtq+, su quello che è diventato il paese che ha dichiarato silenziosamente caccia aperta a fratelli e sorelle, figli e figlie. Insulti, aggressioni, morti sono una scia. Illuminano una grande domanda: in nome di cosa?

Oltre i numeri

Dal 2013 a oggi, nel momento in cui scrivo, un punto tra il passato e il presente quindi totalmente instabile, si registrano 1.866 vittime. Ma i numeri non dicono nulla. Eppure, servono. Questo è quello che mi hanno insegnato: i numeri sono aridi, è vero. Ma per un’inchiesta giornalistica sono i dati a dare autorevolezza. Giusto.

La prima edizione di Caccia all’omo si apriva con dei dati di violenze omotransfobiche. I quotidiani italiani hanno per mesi e anni rilanciato quelle raccolte che ho fatto personalmente ritagliando articoli di giornale, raccogliendo le denunce delle vittime e delle associazioni. Ma il dato sull’odio omotransfobico in Italia non ha senso e non racconta. Ci ho messo anni a capirlo. Ho dovuto attraversare centri antiviolenza, case, questure, ospedali, aule di tribunali e del parlamento. Siamo assuefatti dai dati.

Li sgraniamo come un rosario ogni 17 maggio ma non li tratteniamo neppure il tempo necessario perché si traducano in un pensiero. Arcigay denuncia 149 crimini d’odio nel 2024. «Un numero per nulla fedele alla realtà – specifica Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay – che sappiamo essere ben più grave, filtrata da under reporting strutturale in questo fenomeno. Ma descrivono tutti assieme l’aria irrespirabile di questo paese, la paura in cui molte persone Lgbtq+ vivono immerse».

L’angolo cieco

Sono le storie che parlano. Quelle sì, quelle somigliano tutte a qualcosa che sappiamo. Quello che ci dicono le storie è un’Italia unita nell’odio verso il diverso: un fratello che ne pugnala un altro in quanto omosessuale, un padre che butta fuori di casa un figlio perché uomo trans, lo “stupro correttivo” di una ragazza perché lesbica. Dentro questa galassia nera, aggressioni e ricatti sono il lessico di un’omofobia che sembrava dimenticata: quella che serpeggia negli incontri al buio, nelle dating app.

Qui si cercano le persone omosessuali per incontrarle, pestarle, ricattarle, stuprarle, perfino ucciderle. Il ritorno di un fenomeno novecentesco che pensavamo di esserci lasciati alle spalle. Adesso si è ripresentato in versione aggiornata: se prima le violenze si consumavano nei luoghi di cruising, cioè nei luoghi in cui le persone si incontrano, spesso in anonimato, oggi lo stesso accade con le app di incontri, soprattutto verso persone più anziane o semplicemente persone vulnerabili, che vengono abusate o ricattate.

Ecco l’angolo cieco. Quello che l’occhio non trova, neanche quello dei colleghi, di chi in questi anni ha sbandierato interesse per la comunità vero o presunto, occupando spazi televisivi, talk, dedicando servizi e pagine.

Le aggressioni omotransfobiche sono poco denunciate, perché le vittime hanno consapevolezza della mancanza di una legge che le protegga e vi è la convinzione diffusa che “tanto non succede nulla”. Le forze di polizia o gli altri soggetti della giustizia penale non registrano le condotte di discriminazione e violenza omotransfobiche perché non le riconoscono o perché il dato non rientra tra quelli da segnalare sulla base della legislazione vigente. Non c’è legge, non c’è reato. Ecco il punto di caduta, quello che ci dice: “L’omotransfobia è invisibile in Italia”. Il fenomeno è sommerso.

Ma tanto i numeri non servono, le storie invece mettono chi è al governo e in parlamento di fronte a una coscienza: la propria. Chi ha applaudito per la morte del ddl Zan, di fronte a questi morti, di fronte a queste aggressioni, potrà sempre optare per il cinismo e per l’omotransfobia che sta divorando il paese, ma prendere una posizione è importante. Tirare una riga e dire chi sta con chi nel conflitto tra due mondi, aggressori e aggrediti. Chi leva la mano per colpire e chi per proteggere. Ognuno si posizioni, ce ne ricorderemo nel mondo, dopo.


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