Le toghe che iniziano il tirocinio accolte al Colle, con il Capo dello Stato che ha sottolineato l’importanza di «mantenere l'equilibrio tra i vari organi dallo stato: nessun potere è immune da vincoli e controlli». Il vicepresidente Pinelli, invece, ha citato il magistrato Livatino e il suo discorso sui giudici «super partes», una strizzata d’occhio al sottosegretario Mantovano
In un momento di forte tensione tra toghe e governo - con il sottosegretario Andrea Delmastro secondo cui «alcuni magistrati parlano come mafiosi» – i giovani magistrati sono stati accolti al Quirinale da Sergio Mattarella, che è anche presidente del Csm, per il saluto prima dell’inizio del loro tirocinio.
L’occasione, come già in passato è stato, per il Colle di lanciare precisi segnali sia all’esecutivo che alla magistratura.
L'esercizio della giustizia è «affidato dalla Costituzione alla magistratura. La nostra Costituzione, lungimirante, persegue l'obiettivo di mantenere l'equilibrio tra i vari organi dallo stato: nessun potere è immune da vincoli e controlli», ha detto Mattarella, aggiungendo che «essere magistrato impone responsabilità, è un risvolto necessario dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura che esige rispetto della deontologia, irreprensibilità nei comportamenti individuali: i giudici hanno il dovere di essere e apparire irreprensibili e imparziali, in ogni contesto, anche nell'uso dei social media».
Quanto al metodo di esercizio della giurisdizione, esso «si fonda sull'approfondita conoscenza dell'ordinamento ma richiede, altresì, come stile morale e intellettuale di ogni magistrato, capacità di ascolto, apertura al confronto, rifiuto di ogni forma di presunzione cognitiva, prudenza del giudizio», sono le raccomandazioni di Mattarella.
Un passaggio, però, è stato quello più significativo e più calzante rispetto alla fase attuale, in cui la magistratura associata è in attesa dell’approvazione della riforma della giustizia, che separerà le carriere e introdurrà il sorteggio per i membri dei due Csm, e si prepara alla campagna referendaria contro.
«Rigore morale e professionalità elevata sono la risposta più efficace ad attacchi strumentali intentati per cercare di indebolire il ruolo e la funzione della giurisdizione e per rendere inopportunamente alta la tensione tra le istituzioni», ha detto Mattarella.
Impossibile non leggere in queste parole il profluvio di attacchi che la magistratura ha subito in questi mesi, da ultimo proprio dal sottosegretario Delmastro.
Le parole dell’esponente di governo hanno suscitato anche la reazione dell'Associazione Nazionale Magistrati, con il presidente Cesare Parodi, che ha risposto dicendo che si tratta di dichiarazioni «gravi, che trasmettono un'immagine della magistratura completamente errata».
L’intervento di Pinelli
Se le parole del Colle hanno parlato direttamente alle toghe e indirettamente anche al governo, invitando a un equilibrio tra istituzioni che oggi sembra sempre più fragile, di diverso tenore è stato l’intervento del vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli.
Pinelli ha sottolineato in particolare il requisito della «imparzialità» che «deve essere costitutiva dello stesso essere magistrato, ne compenetra le funzioni e le garanzie di cui gode, ne esprime in modo essenziale e fondamentale il ruolo e la figura in tutti i suoi aspetti».
Il passaggio più forte è stato speculare a quello di Mattarella. Pinelli, infatti, ha sottolineato l’importanza di «comprendere cosa significhi essere magistrato nel difficile gioco di equilibri dei poteri dello Stato e della libertà di manifestazione del pensiero».
Pinelli ha sottolineato i limiti del magistrato, «che non è un’autorità morale del Paese e non deve mai confondere etica e diritto, accertare responsabilità individuali o dirime controversie tra parti private tutelandone i diritti fondamentali; non è invece portatore di generali valutazioni sui fenomeni sociali onde correggerli o indirizzarli, non ha potere di rappresentanza, ma semmai “una competenza” da mettere al servizio degli attori istituzionali».
Non solo: «La competenza consente al magistrato di resistere ai condizionamenti e alla tentazione di individuare il colpevole prima del giudizio, alla suggestione della giustizia senza processo. Battetevi con postura ferma con i provocatori di processi paralleli fuori dalle aule dei tribunali».
Una visione in cui si può ascoltare l’eco del dibattito pubblico di questi mesi, in cui più volte il governo ha attaccato la magistratura con l’accusa di intervenire in questioni di sistema e di orientamento politico, come per esempio quelle legate alla gestione dei migranti.
Impossibile da non notare, infine, la citazione di Pinelli a Rosario Livatino, assassinato dalla Stidda nel 1990 e tra le figure più importanti della storia recente della magistratura. La citazione, però, racchiude un duplice interesse: certamente il riferimento a una figura nobile, ma anche una strizzata d’occhio al sottosegretario Alfredo Mantovano.
A Livatino, infatti, è intitolato un centro studi estremamente influente nella galassia dei giuristi conservatori, che «studia il diritto alla vita, la famiglia e la libertà religiosa in un'ottica di coerenza con il diritto naturale». E al centro studi è strettamente legato Mantovano, che è magistrato e soprattutto influente voce in tutte le riforme che riguardano la giustizia.
Pinelli, nel suo intervento, ha citato in particolare il discorso di Livatino sul ruolo del giudice nella società che cambia e ha detto che «secondo Livatino le prospettazioni di chi vuole un giudice garante del sistema e degli interessi forti e quelle di chi lo vuole garante dei deboli, riequilibratore delle ingiustizie sociali, sono entrambe da rifiutare in quanto “il ruolo che vogliono prefigurare è tale che il magistrato, che dovrebbe assumerlo, non sarebbe più tale in quanto imprimerebbe a se stesso ed ai propri compiti dei caratteri e delle finalità totalmente estranei a quello che ancora oggi è il prototipo dell’interprete giudiziario”, quello cioè di una “figura super partes”».
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