Un cambiamento epocale: lo striscione campeggia davanti al palazzo presidenziale a Damasco, dove ora sventolano anche bandiere americane. L’incontro Trump-al Sharaa segna un cambio di paradigma. Che irrita non poco il governo Netanyahu. Ma per quanto riguarda il ruolo dell’Italia, potrebbero aprirsi nuove opportunità
“Make Syria Great Again”: è lo striscione gigante che troneggia a Damasco davanti al palazzo presidenziale. Ce ne sono altri di ringraziamento a Trump e si vedono bandiere americane: un fatto impensabile solo qualche mese fa.
Dopo l’incontro con il presidente americano, gli ex jihadisti e ex qaedisti di Hay’at Tahrir al-Sham (Hts) ora al potere in Siria hanno rotto l’ultimo tabù: quello del “grande Satana”. L’incontro tra il presidente al Sharaa e Donald Trump americano è andato talmente bene che quest’ultimo si è sperticato in lodi: «He is a tough guy», ha detto, «è un tipo tosto».
Gli accordi tra americani e siriani includono una tregua con Israele, ma tutti sanno che Israele si vuole ulteriormente allargare sul Golan e oltre, dopo averne già annesso una parte. Americani e siriani si sono accordati diversamente, provocando irritazione da parte di Netanyahu. Al Sharaa si sta comportando con abilità. Ha ricevuto i ministri degli Esteri di Francia e Germania.
Poi ha ricevuto Antonio Tajani, puntando sul fatto che l’Italia potrebbe avere un ruolo non invasivo in Siria. È bene rammentare che Roma e Parigi erano i due partner commerciali più forti prima della guerra. Poi al Sharaa è stato ricevuto a Bruxelles e all’Eliseo. Ma Francia e Germania non hanno ancora l’ambasciata aperta e non possono operare efficacemente. L’Italia ha insistito sin da principio sulla levata delle sanzioni, assieme a Portogallo e Austria, e ora finalmente ha ottenuto successo. Anche gli Usa da parte loro si sono impegnati a levarle.
Per alcuni paesi europei il neo leader siriano deve ancora essere messo alla prova. La strategia italiana è chiara: ingaggiare il nuovo governo per influenzarlo da vicino. Manca ancora l’incontro al vertice tra al Sharaa e la nostra presidente del consiglio, per suggellare il partenariato. Questo può essere il momento dell’Italia in Siria: in quasi 15 anni di conflitto alcune nostre imprese hanno continuato ad investire e commerciare anche se tra mille difficoltà.
Poi c’è il ripristino della sicurezza: l’Italia può diventare un partner possibile con la formazione della nuova polizia. Lo stesso si può dire del sistema giuridico: esiste il tema della nuova Costituzione da mettere in piedi con l’aiuto di esperti. Ovviamente c’è l’enorme cantiere della ricostruzione: il paese è a terra e le città quasi invivibili, a parte la capitale. Possiamo offrire il modello della nostra protezione civile per le conseguenze del terremoto del 2023. Ci sono infine i due settori pubblici di sanità e educazione da sostenere mediante la cooperazione.
Il governo appena nato è alle prime armi e necessita di partner. Hts non si aspettava una vittoria così rapida ed ora è corteggiato con molti a far la coda alla porta del nuovo esecutivo. Chi conta di più è certamente la Turchia, dove al Sharaa si è recato per la sua prima visita all’estero, oltre ai sauditi provvisti di grandi mezzi finanziari. Un aspetto importante è la garanzia di accesso e libera circolazione delle agenzie umanitarie dell’Onu su tutto il territorio: Assad non lo permetteva, se non con il contagocce.
Infine nel dialogo Siria-Italia la difesa e protezione delle minoranze e dei cristiani è certamente una priorità. I cristiani si sono fatti sentire, hanno intessuto buone relazioni con il nuovo esecutivo che include anche la ministra cristiana con il portafoglio degli affari sociali, Hindu Kabash, che non pare essere solo una figurante ma personalità politica con una certa influenza. Le chiese cristiane rivendicano un ruolo nella costruzione della nuova Siria e spronano i loro fedeli a impegnarsi.
La Siria ha bisogno di un profondo lavoro di riconciliazione che garantisca l'unità nazionale e la pace tra le varie componenti della società. Il dialogo con i curdi avanza senza che se ne comprendano ancora tutti i contorni, ma è la relazione con la minoranza alawita a preoccupare di più. Dopo decenni di dittatura della famiglia Assad i rancori sono ancora tutti molto vivaci.
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