Il caso di Stefano Addeo, il professore che ha postato minacce nei confronti della figlia della premier Meloni, che ha tentato il suicidio e che è stato sospeso dal servizio, condito dal bizzarro appello all’intelligenza non umana, mostra l’infame parabola di internet e dei social
La promessa, carica d’afflato utopico, era delle più avveniristiche: i social network avrebbero consentito a chiunque di prendere parola, senza alcuna mediazione, affidandone poi il giudizio a una sfera pubblica potenzialmente allargata all’intero pianeta.
Come ogni utopia degli ultimi secoli, ma con persino maggiore sollecitudine, questa promessa di democratizzante parificazione ha saputo rovesciarsi nel suo opposto. Chiunque di noi oggi è esposto a una violenza impalpabile e incorporea, priva di qualsiasi assillo egalitario, e capace, più della violenza fisica, di ribaltare fortune e dissestare esistenze.
La vera eguaglianza dei social media è questa: l’esposizione costante di tutti a una violenza collettiva che, per paradosso, ciascuno può comodamente esercitare in privato e senza rischi di sorta.
Il caso
Il caso di Stefano Addeo, dal suo post dissennato al tentativo di suicidio (con previo avviso di esecuzione alla dirigente scolastica), condito per giunta dal bizzarro appello all’intelligenza non umana (dunque non passibile di procedimento disciplinare), fa da silloge all’infame parabola di internet e dei social media.
Un educatore, che dovrebbe dunque saper indurre i più giovani ad astenersi dalla violenza (poco conta se verbale o fisica) fa ricorso a un chat bot basato su intelligenza artificiale per prodursi dei contenuti di senso minimali – proprio come fanno quegli studenti da noi docenti tanto criticati perché sempre più spesso si lasciano abbindolare dalle citazioni immaginarie e dalle date fittizie che solo l’intelligenza artificiale sa escogitare con tanto fantasiosa propensione all’assurdo.
Quindi, senza vagliarne il contenuto, detto educatore rende pubblica l’oscena dichiarazione contro la figlia della premier Giorgia Meloni. Di lì si attiva la sassaiola dei moltissimi censori sedentari che, smartphone alla mano, hanno l’occasione, irrinunciabile per i moralisti digitali, di dedicarsi all’attività oggigiorno più diffusa, vale a dire un esercizio di sguaiata virulenza verbale, priva perlopiù della capacità interiore di assumersene il rischio, là dove anonima o dissimulata da un nom de plume (il professore nel frattempo è stato sospeso ndr).
La chiusura della parabola è già nota: potremo presto rimuovere dalla nostra memoria a brevissimo termine l’ignobile fatterello – neppure aggravato, come invece accaduto di recente, dalla morte di un qualcuno – per passare alla prossima scarica pulsionale, sempre rigorosamente virtuale.
Libertarismo anarcoide
Ed è vero che il segno tangibile della spinta egalitarista di internet sta in un corpo sociale che si livella, nelle differenze che si attenuano e nelle distanze che si riducono. Eppure, assai più che le ondate democratiche del passato, le quali hanno saputo migliorare la nostra vita di quel quanto che ne ha controbilanciato le degenerazioni, la democratizzazione indotta dai social network sembra assai più carica di quegli evidenti e spontanei micro-fascismi che spiegano l’odierno graduale realizzarsi, su scala planetaria, delle democrazie illiberali.
Il “libero” uso della parola su internet si segnala per una vistosa sommarietà dei giudizi e per la rassegnata penuria di garanzie per chi al giudizio è sottoposto. Come se non bastasse, tale libertarismo anarcoide e disimpegnato alimenta il vizio (proprio non solo dei media) di una vistosa incapacità di fare ammenda quando il giudizio si rivela infondato – dacché, nella democrazia illiberale di internet, l’organo giudicante e il pubblico ministero si identificano nello stesso soggetto: una moltitudine amorfa perennemente insoddisfatta e generalmente anonima.
Tutto questo nutre l’istintiva riottosità umana a regole e procedure, solo in parte attenuata da una political correctness, perlopiù formale, studiatamente inscenata nei luoghi in cui è consigliabile mettere in mostra le nostre virtù d’irreprensibili moralisti. E se allora un giorno si vorranno trovare le motivazioni sottese all’odierno scivolamento verso i regimi para-dittatoriali – dacché manca persino la serietà per organizzare una vera dittatura – converrà in primo luogo considerare uno a uno i nostri post e soppesarne il carattere d’illuminato progressismo.
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