Solo pochi, tra gli spettatori che lo scorso 23 aprile si sono recati al Parco della Musica di Roma per assistere al concerto di Kamasi Washington, hanno potuto prestare attenzione alla splendida performance di apertura affidata a Maria Chiara Argirò. Tutt’altro che disattento si è dimostrato, significativamente, lo stesso Kamasi Washington, che al suo ingresso, prima ancora di invitare la platea a osservare un minuto di silenzio per la morte di Bergoglio, ha ringraziato Argirò accostando al primo nome della musicista, Maria, un aggettivo non inopportuno: «great», grandiosa.

Autrice nota e apprezzatissima in Europa, eccellente pianista, Maria Chiara Argirò ha eseguito alcuni brani del suo disco più recente, Closer (2024), mentre la sala Santa Cecilia, illuminata a giorno, iniziava a popolarsi. Alcuni spettatori hanno trascorso in piedi, chiacchierando, l’intera mezz’ora concessa ad Argirò, ritenendo con ogni evidenza che la sua musica valesse come una sorta di sigla di benvenuto; e i responsabili di sala non si sono certo premurati di correggere questa falsa opinione. Altri hanno occupato il tempo dedicandosi, quasi mai in silenzio, alla ricerca del proprio posto. Altri ancora hanno preferito girovagare a lungo tra le poltrone, senza una meta precisa, presi da chissà quali pensieri.

Le cause 

Come si spiega un atteggiamento simile? Come l’esito lineare di alcune premesse – assurde, naturalmente. Anzitutto, mancava qualsiasi menzione del nome di Maria Chiara Argirò sia nel programma divulgato dall’Auditorium Parco della Musica, sia nei siti web delle biglietterie. Nessun cenno alla musicista nemmeno sui biglietti stampati. Non solo: il personale dell’Auditorium, interrogato al telefono il 22 aprile, cioè il giorno prima del concerto, si è detto all’oscuro della presenza attiva di Argirò, né ha saputo indicare, pertanto, l’orario di inizio della sua esibizione. Per risolvere il mistero è stato necessario chiedere direttamente all’artista, che ha fornito, con gentilezza, indicazioni precise.

Le conseguenze 

Ora, è verosimile che tutto ciò sia dipeso dalla trascuratezza della produzione. Ma qui interessa di più valutarne le due conseguenze principali. La prima è la più ovvia. I pochi, incantevoli brani suonati da Maria Chiara Argirò, affiancata da Riccardo Chiaberta e Christos Stylianides, hanno corso il rischio di perdersi nel nulla, e questo è avvenuto in una celebre sala da concerto, non in una stazione della metropolitana o nel corridoio di un supermercato.

La seconda conseguenza non è meno grave. La cattiva organizzazione ha generato un clima fastidiosamente svagato, incoraggiando numerosi spettatori ad abbandonarsi alla sciatteria; e la sciatteria, si sa, finisce di norma per porsi al servizio dei rapporti di forza consolidati, delle più banali e immediate gerarchie. Una compositrice giovane e affermata, non un’esordiente – ma se Argirò fosse stata un’esordiente il discorso non cambierebbe –, ha finito così per essere relegata a un ruolo minore e trascurabile: o meglio immobilizzata, inerzialmente, in quel ruolo. Ci sono buone ragioni per credere che in altri paesi europei le cose sarebbero andate in modo diverso.

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