Elsa ha diritto a un credito nei titoli di testa, contrariamente all’uso corrente che per la sua specie prevede solo una citazione in coda. Perché Elsa è un cane, ed è anche il primo personaggio in ordine di apparizione di Silent Trilogy (Mykkätrilogia) di Juho Kuosmanen, che riadatta le tecniche del cinema muto alla contemporaneità con risultati di travolgente emozione, leggerezza e poesia.

Tre storie, tre film brevi, come da titolo, ma attenzione: non è la furba operazione di Michel Hazanavicius con The Artist, cinque Oscar intascati anche in quel caso con il provvidenziale aiuto di un cane. Il regista finlandese di Scompartimento n.6 – film-rivelazione di Cannes 2021 – e di La vera storia di Olli Mäki, che sovvertiva con ironia i codici dei boxe-movies, non riproduce fittiziamente i tempi del muto. Ne riscopre al contrario la potenza espressiva, quando si tratta di condensare i travagli di quei nostri simili che dalla vita non si aspettano niente e niente hanno da perdere.

Quello di Silent Trilogy è un luogo sospeso tra cronaca e utopia, più o meno il territorio in cui tutti, e sempre di più, cerchiamo rifugio. Guardandolo scopri che questa è probabilmente la forma più moderna e fedele di rappresentazione del presente, mediata da quell’arsenale di leggerezza, di pietas e speranza ostinata che è il vero survival kit dei tempi nostri.

L’Ufo di Kuosmanen – girato a tappe tra il 2011, il 2017 e il 2023 – è in sala dal 5 maggio, distribuito dalla Cineteca di Bologna col suo progetto Il cinema ritrovato. Al cinema. È molto più che un viaggio divertito e sapiente tra lingue dimenticate della settima arte, per citare il direttore della Cineteca, Gian Luca Farinelli. È un’autentica, rinfrancante, incantevole boccata d’ossigeno.

Dalle parti di Aki Kaurismäki

I personaggi di Silent Trilogy ricordano irresistibilmente quelli di un altro finlandese, Aki Kaurismäki. Come per Kaurismäki, gli animali di casa sono essenziali (qui ai cani si aggiunge un maiale peloso), e l’afasia dei dialoghi (pardon: delle didascalie, o intertitoli) è irresistibile. Come per Kaurismäki protagoniste sono persone ordinarie. «Perché», dice il regista, «le personalità troppo forti finiscono per assomigliarsi, mentre le persone ordinarie sanno sorprendere».

È curioso perché Kuosmanen viene da un cinema bello ma tutto diverso. Scompartimento n.6, il suo film più celebre, raccontava l’intimità scomoda, ma in continua e imprevedibile evoluzione, tra una studentessa di archeologia e un ruvido operaio di miniera, nella carrozza ferroviaria in viaggio da Mosca a Murmansk, gli abissi di classe e un germoglio di amore sfiorito.

Qui il minimalismo in bianco e nero è radicale e struggente, e la città natale del regista, Kokkola, diventa il centro del mondo, una Twin Peaks surreale e burlesca, un parco giochi naif. Protagonista della prima storia, Rottame-Mattila e la Donna Bellissima, è Seppo Mattila, un anziano che nel 2010 fu sfrattato dalla povera casa in cui viveva fin dall’infanzia. Durante le riprese del corto, nel 2011, la troupe ha raccolto le firme contro lo sfratto. Ma non è docu-fiction, è una fiaba.

Nella primissima didascalia Seppo dice soltanto «Buonanotte» al suo cane Elsa, prima di addormentarsi. Nella seconda esplode il dramma: «Arriva un’auto: UFFICIALI GIUDIZIARI!». Tutti in giacca e cravatta, gli comunicano che la casa deve essere demolita e gli consegnano il risarcimento: tre monete da un euro, una sull’altra. Cartello: «Elsa, vendiamo tutto e andiamo in Svezia». “Tutto” sono tre masserizie caricate su una carriola, che Seppo a piedi cerca di smerciare o di barattare di porta in porta. Sbertucciato e saccheggiato dai ragazzini, il passaparola (muto) della comunità lo trasforma in uno straniero pericoloso che picchia i bambini, da accogliere col fucile spianato.

Non mi dilungo, ma in una scena-clou Seppo entra in un bar e chiede una birra. Dialogo scritto: «Ha del denaro?» «No, ma ho molti altri pregi». E il barista fa una colletta tra gli avventori “per una buona causa”. La birra arriva, insieme a una canzone struggente e alla Donna Bellissima – e pietosa, e amorevole – che la canta. Il resto sarà anche silenzio, per dirla con Shakespeare, ma scalda il cuore in un perfetto finale chapliniano.

Nello spazio con Mèliès

Tutt’altra genesi ha I distillatori, omaggio al cinema delle origini e fantasioso remake del leggendario muto omonimo del 1907, il primo film di finzione finlandese, andato perduto. Gli attori, anche qui, sono veri abitanti di Kokkola, non professionisti (Jaana Paananen, in particolare), e anche qui la carriola è sovrana.

Trasporta una distilleria clandestina che due figli anziani hanno ereditato dal padre. Anche se la merce più ambita del loro scalcagnato business di contrabbando sarebbe il “prosciuttone”, il maiale peloso che è il loro cucciolo domestico. Peccato che tutto l’incasso finisca nelle tasche di un baro, che da “cittadino irreprensibile” li denuncia ai gendarmi, tra una miriade di cascatoni da comica classica. Ma sarà proprio l’amatissimo pet, cena potenziale, la scintilla della ribellione.

Con due “muti” già pronti, è scattata l’idea della trilogia. Un lontano pianeta è l’apoteosi cinefila, un’avventura spaziale alla Méliès con scenografie e oggetti di scena di cartone, grafica elementare e i mezzi amatoriali degli albori. Kuosmanen cita Chaplin e Viaggio sulla Luna, ma anche Guy Maddin e il sovietico Aèlita di Jakov Protazanov. Ma la storia semplice della guardiana del faro Marlanda e di suo fratello Maximilian si gode anche da sprovveduti. «Credo che le emozioni più sincere si esprimano spesso senza parole», sostiene il regista, «le parole dopotutto servono anche a mascherare la verità».

Marlanda e fratello custodiscono lietamente il faro di un’isoletta remota, col loro cane Bulla. La loro vita ha un senso: senza la luce rotante, pensano, il mondo intero è perduto. L’inizio della fine è la scomparsa del cane. Didascalie: «Non posso sopportare altre morti: se muori anche tu impazzirò». «Forse esiste un pianeta lontano dove ci incontreremo di nuovo, con bella musica, dove forse giocano a scacchi e fanno ottimi cocktail. Sono certo che Bulla sia là».

Ma il faro è rottamato, tutti ormai usano il GPS, la luce la portano via in una bara. E Maximilian muore di crepacuore. Così Marlanda partirà sul missile spaziale che si è fabbricata in casa accumulando una chilometrica bolletta della luce. E tra le stelle c’è tutto: gli scacchi, i cocktail, suo fratello e Bulla. La rituale parola “Fine” non è mai stata più inappropriata.

C’era una volta: i suoni dal vivo

Fiabe. Che andrebbero godute come il regista le ha progettate, come una performance con tutti i suoni – rumori e musica – creati dal vivo. Come una volta, come prima che il cinema imparasse a parlare. Al bolognese Festival del Cinema Ritrovato, nel 2024, c’era un’orchestra a suonare, una voce a cantare e un talentuoso rumorista a fare il suo.

Nelle nostre sale, per forza di cose, l’esperienza non è ripetibile, ma una robusta traccia di magia resta. Forse perché ti accorgi che, come sostiene Juho Kuosmanen, il cinema muto offre una libertà enorme: «Niente vincoli di budget, nessuna pressione da botteghino, solo qualche chilometro di pellicola con cui sperimentare». Morale d’autore: «Il cinema, anche preso seriamente, non dovrebbe mai far dimenticare il piacere di creare». Ma anche, da spettatori, il puro, antico piacere di lasciarsi incantare.

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