Marta Bonafoni, il Pd accusa Giorgia Meloni di essersi messa, a Tirana, fuori dal gruppo di testa dell’Europa. Lei risponde che l’Italia non manderà truppe in Ucraina, quindi non partecipa a quei vertici. Anche voi siete contro l’invio di truppe: non dovreste darle ragione?

Quella foto senza l’Italia fa male al Paese. Ma soprattutto fa male all’idea di Europa che abbiamo: unita per tornare a contare. Meloni paga il suo vassallaggio a Trump. E il conto lo paga l’Italia.

Se oggi a palazzo Chigi ci fosse la sinistra, magari Elly Schlein, sarebbe nei vertici di chi vuole inviare le truppe in Ucraina?

Se fossimo stati noi al governo sarebbe stata un’altra la storia, in tutti questi mesi. L’Italia avrebbe spinto Bruxelles a mettere in campo un’iniziativa diplomatica per far cessare l'aggressione criminale di Putin all’Ucraina. E per chiedere il cessate il fuoco nella mattanza di Gaza. La nostra Italia avrebbe fatto pesare di più la voce della diplomazia europea. Invece da Meloni arrivano solo silenzi e bugie.

(Marta Bonafoni, coordinatrice della segreteria Pd, è considerata la consigliera più ascoltata da Elly Schlein. Vero è che le due si assomigliano e si pigliano: sono entrambe femministe, movimentiste e stakanoviste. Bonafoni, che è consigliera regionale nel Lazio, è impegnata in un giro per l’Italia del Terzo Settore. Un mondo civico di milioni di persone: ce n’è d’avanzo per il sospetto – di chi ne teme l’irresistibile ascesa – di accumulare consensi fuori dal Pd, da portare in dote alla segretaria. Magari ai prossimi gazebo).

Meloni resta forte nei sondaggi.

Meloni continua a mentire sulla spesa sanitaria, sostiene che si misura per la progressione degli investimenti e non come fa tutta Europa con il rapporto fra quella spesa, il Pil e l’inflazione, che è un flagello. Mente quando dice che ha fatto aumentare i salari: i salari italiani restano i più bassi di buona parte d’Europa. La sua esposizione internazionale non sta funzionando più, e ormai anche la luna di miele con il Paese mi sembra in dirittura d’arrivo. I referendum dell’8 e 9 giugno saranno una tappa per far respirare l’alternativa al paese.

Nonostante il fatto che governo invita gli italiani ad andare al mare?

La campagna astensionista del governo è vergognosa. La seconda carica dello Stato, quel signore che in caso di indisponibilità del presidente della Repubblica è il suo facente funzione, si è schierato per la diserzione di un diritto conquistato da chi ha perso la vita per consegnarci la libertà di voto. La Rai ha messo in atto l’operazione-silenzio, i dati Agcom certificano lo 0,62 per cento degli spazi alle consultazioni.

Quindi come credere al quorum?

È di certo un obiettivo ambizioso, ma non impossibile. Nel 2011, sui quesiti sull'acqua pubblica, i 27 milioni che andarono a votare furono una sorpresa imprevista fino all’apertura delle urne. Stavolta si vota per la pelle di lavoratrici e lavoratori, ogni giorno ne muoiono tre, e per la cittadinanza, cioè per una quantità sterminata di persone che pur essendo italiane non hanno i diritti degli italiani dopo anni in cui contribuiscono al reddito, hanno una casa, hanno i figli nelle nostre scuole e nelle nostre squadre di calcio.

Trasformerete il referendum in un voto contro il governo?

Sarà un voto sulla condizione dell'Italia di oggi. Un paese impoverito, dove aumenta la differenza in basso dei salari rispetto ai cittadini degli altri paesi europei, dove 4 milioni e mezzo di persone non riescono a curarsi. Sarà di fatto un voto sulla condizione degli italiani e delle italiane.

Se fallirete il quorum comunque vi peserete: puntate a superare i 12 milioni di voti, quanti ne ha raccolti la destra alle politiche?

Varrà un voto sull’altro, e non solo la percentuale che si raggiungerà. E c’è un’altra percentuale che teniamo a mente: quella di chi non va a votare da tempo, comprese le ultime europee e le ultime politiche. Un referendum può richiamare la marea di chi non crede più che un voto cambi il proprio destino. Un referendum è la possibilità di autorappresentare una domanda di lavoro sicuro e di cittadinanza.

Il Pd non è compatto: i riformisti sono contrari a tre quesiti sindacali, su cui alcuni si asterranno.

Giovedì scorso la segretaria del Pd ha convocato i segretari delle venti regioni italiane. Li abbiamo trovati tutti già mobilitati, con iniziative in corso accanto e insieme ai comitati referendari. Quei segretari e i nostri militanti si sono mossi dopo che la direzione nazionale ha messo ai voti l’adesione alla campagna referendaria. Non ci sono state espressioni contrarie. A chi ha deciso di votare diversamente non abbiamo chiesto abiure, ma il Pd sta combattendo per il quorum.

Quel voto era unanime perché la minoranza non ha partecipato.

Ripeto. Il Pd partecipa pancia a terra alla campagna referendaria. E io vedo tanta partecipazione. Anche da parte del presidente Stefano Bonaccini, che ha più volte ribadito che comunque voterà tutti e cinque i quesiti.

Se i referendum saranno un successo, avrà vinto Maurizio Landini?

Avranno vinto i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, e i diritti di quei ragazzi e di quelle ragazze che ci chiedono di non deludere un'altra volta le loro aspettative. Stiamo ricucendo il rapporto con un pezzo fondamentale del paese che è il mondo del lavoro, dobbiamo tornare ad essere empatici con le condizioni materiali delle persone, è insopportabile che chi è stato illegittimamente licenziato non venga reintegrato, o non abbia un indennizzo adeguato se è in una piccola azienda.

Matteo Renzi, il padre del Jobs act voterà no, ma non chiede l’astensione. Un bel gesto?

Renzi sta invitando a partecipare alle urne con un punto di vista diverso dal mio, comprensibile, e che rispetto. Ma appunto dice di andare tutti a votare.

Resta che il referendum cancella una legge fatta dal Pd.

Nella mozione congressuale che ha vinto, quella di Schlein, c’era scritto che il Jobs act andava superato. E anche nella mozione di Bonaccini. E nel programma di governo del 2022. Il Jobs act è stato uno strappo con il mondo del lavoro. Per noi l’8 e il 9 giugno sono una tappa della ricucitura di questo strappo.

Ma non una tappa della costruzione del centrosinistra. Azione e Iv votano diversamente da Pd, M5s e Avs.

La coalizione a cui noi «testardamente» – come dice la segretaria – lavoriamo ancora non c’è. Ma la somma delle forze dell’opposizione è ormai a un’incollatura dalla maggioranza. E il paese reale comincia a sentire le ferite delle mancate politiche di questo governo: da 26 mesi di seguito la produzione ha un segno negativo, il mondo delle imprese si sta rendendo conto dei limiti del governo, ormai risulta chiara l'ambiguità con cui si investono i fondi europei e il Pnrr.

Domani sarete in piazza a Roma con la Cgil: Pd, M5s, Avs e Più Europa. È questo il centrosinistra del futuro?

È un primo nucleo, solido, di forze politiche che stanno camminando insieme sui referendum, sul salario minimo, sul congedo paritario, sulla sanità. E che sempre più spesso intercettano anche altre forze dell’opposizione. Siamo alla vigilia di un turno di amministrative dove quasi ovunque la coalizione si presenta larga e unita, anche con l’ex Terzo polo. Domani su quel palco ci saranno anche tanti intellettuali e artisti che in questi giorni sono sotto attacco del ministro della Cultura Alessandro Giuli. Un attacco arrogante e violento contro la libertà di critica, di pensiero, contro persino la satira. Affama il mondo del cinema, che è una delle materie prime più originali e forti che del nostro Paese, sbeffeggia la libertà dell’arte.

Se il referendum va male, nel Pd vi aspettate una resa dei conti, oppure rilancerete con un congresso anticipato?

Subito dopo il referendum ci sono sei elezioni regionali da vincere. Ci aspettiamo che il partito si metta al lavoro per confermare il governo della Puglia, della Toscana, della Valle d'Aosta, della Campania, e che provi a vincere in Veneto e nelle Marche. È quello che faremo dall'attimo in cui si chiuderanno le urne del 9 giugno.

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