La Consulta boccia la legge sul terzo mandato in Campania e blocca così ogni velleità di ricandidatura di Vincenzo De Luca. La decisione, però, spegne anche i sogni di Luca Zaia in Veneto e risolve più di un problema a Fratelli d’Italia, che temeva di ritrovarsi con una lunga lista di governatori leghisti decisi a trasformare in feudi le loro regioni.

«Il legislatore campano ha reso inapplicabile, per la prossima tornata elettorale, il principio fondamentale del divieto del terzo mandato consecutivo posto dal legislatore statale con la legge numero 165 del 2004, così violando l’articolo 122, primo comma, della Costituzione», si legge nel comunicato dei giudici della Corte costituzionale, che hanno deciso dopo una camera di consiglio di quasi quattro ore. «Il divieto del terzo mandato consecutivo opera», hanno argomentato, «per tutte le Regioni ordinarie, dal momento in cui esse hanno adottato una qualsiasi legge in materia elettorale, nel contesto di una scelta statutaria a favore dell’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale».

Così è stato accolto il ricorso della presidenza del Consiglio, contro la legge della regione Campania del 2024 che prevedeva che «il computo dei mandati decorre da quello in corso di espletamento alla data di entrata in vigore della presente legge», permettendo così a De Luca di ricandidarsi.

Secondo lo Stato, infatti «le ragioni di inammissibilità della legge campana sono insite nella legge nazionale», che fissa il divieto di terzo mandato. La Costituzione, infatti, attribuisce la potestà elettorale alle regioni ma con un sistema concorrente, secondo cui i principi fondamentali spettano alla legge nazionale. A riprova, nella precedente legge regionale del 2009 non era esplicitato il vincolo dei due mandati ma «non ce ne era bisogno, perché valeva il concetto di auto-applicazione dei principi».

I difensori della Regione, invece, avevano chiesto l’inammissibilità del ricorso statale perché «per stabilire il principio di divieto di terzo mandato serviva una legge costituzionale» che non esiste e avevano sostenuto che «è il normatore regionale a dover porre il limite dei mandati. Si tratta di stabilire quali sono rilevanti: le tre leggi delle Marche, del Piemonte e del Veneto dicono che sono rilevanti i mandati successivi (alla legge regionale ndr). Per la Campania vale anche il mandato in corso», ma contato dall’approvazione della nuova legge regionale del 2024.

Da destra a sinistra

Da destra a sinistra, il doppio mandato agita molte regioni italiane. Il caso Campania, infatti, è strettamente legato a quello del Veneto, dove il leghista Luca Zaia che aspettava con ansia l’esito della Consulta per capire il da farsi. Proprio sul suo scranno – su cui il presidente siede addirittura dal 2010 – si stanno infatti concentrando gli appetiti di Fratelli d’Italia, che già avrebbero individuato nel senatore Raffaele Speranzon il candidato giusto e temevano spiragli per un ulteriore mandato del Doge. Ora rimane solo da aggirare il mantra della Lega scandito durante il congresso da Massimiliano Romeo: «A noi devono rimanere tutte le regioni in cui già governiamo». Non poca cosa da chiedere a Fratelli d’Italia, che in Veneto ha ormai uno dei più importanti granai di voti e, pur essendo il partito di maggioranza relativa, non governa nessuna delle regioni del nord. 

Anche su questo si basa il no categorico di Giorgia Meloni al terzo mandato per i governatori. Non solo, però: la possibilità di un tris avrebbe dato un vantaggio competitivo al centrosinistra nella Puglia di Michele Emiliano (anche lui a fine secondo mandato), che è l’altra regione su cui FdI ha messo gli occhi. In casa di Raffaele Fitto, però, FdI non ha ancora un nome forte come candidato e i congressi locali si stanno rivelando un bagno di sangue a causa di faide interne anche intorno al nome del sottosegretario e aspirante candidato Marcello Gemmato. 

Il caso Trentino

Ad arricchire la politica di centrodestra di un nuovo scenario, però, è scoppiato anche il caso Trentino. La provincia autonoma è governata da due mandati dal leghista Maurizio Fugatti, che da subito ha vissuto un rapporto travagliato con gli alleati di Fratelli d’Italia. Il suo mandato scadrà nel 2028, ma non è mai troppo presto per pensare al futuro, soprattutto viste le burrasche nel centrodestra.

Detto fatto, la Lega ha presentato in Consiglio provinciale un disegno di legge per portare a tre i mandati consecutivi per il presidente e, per approvarlo, ha di fatto sottratto a FdI due consiglieri. Carlo Daldoss e Christian Girardi hanno votato a favore del terzo mandato e sono usciti dal partito, che invece aveva dato mandato di votare contro. La tesi dei leghisti trentini è la stessa già usata in Veneto: non è scontata una ricandidatura di Fugatti (su cui FdI locale ha già messo il veto), ma deve essere consentita e poi spetterà agli elettori decidere se dargli ancora fiducia.

Il caso trentino ha la peculiarità di avvenire in una provincia a statuto speciale anche dal punto di vista elettorale, come ha sottolineato la Consulta anche nella decisione campana. L’autonomia, infatti, consente il cambiamento di legge elettorale senza cavilli a cui il governo possa appellarsi e lo stesso si può dire del Friuli Venezia Giulia, dove potrebbe arrivare un “salva Fedriga”. Infatti quello trentino è già diventato un pericoloso precedente. O meglio una dichiarazione di guerra leghista ai cugini meloniani.

© Riproduzione riservata