Le relazioni speciali tra paesi si nutrono sempre di interessi convergenti. Qualche volta anche di identità di vedute. Certamente Giorgia Meloni, grazie alla intesa di lungo periodo con Donald Trump – basti pensare che sostenne le sue accuse di brogli nel 2020 – può vantare una sintonia che pochi leader europei.

Un certo fastidio nei confronti dello stato di diritto e delle libertà civili, il sovranismo, uno stile politico aggressivo e insofferente alle critiche – che però nel presidente americano arrivano a livelli ben diversi – accomunano i due leader. Ma va precisato, est modus in rebus. Il sistema istituzionale italiano – parlamentare con vari istituti di garanzia – ingabbia l’operato del presidente del Consiglio in un perimetro ben definito, che sarebbe invece profondamente alterato con la proposta di premierato, per non dire del presidenzialismo.

Trump imperiale

Trump invece può dispiegare la sua presidenza di stile imperiale perché ha ai suoi ordini tutte le istituzioni: le due camere e in parte, lo vedremo meglio nei prossimi mesi, la Corte suprema.

Meloni si è presentatata quindi alla Casa Bianca come capo di governo di una nazione plurale, con una opposizione che, alle ultime elezioni e oggi sulla carta, totalizza un numero di consensi superiore. E rappresentando una nazione che ha un grande passato alle spalle per essere stata tra i promotori e i maggiori sostenitori della costruzione europea.

Oggi non vanta lo stesso standing perché è guidata da una colazione governativa con forze dichiaratamente euroscettiche. In più, Meloni stessa non può certo competere con personalità come Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano, Mario Monti, Mario Draghi e lo stesso Romano Prodi, leader che hanno avuto l’europeismo iscritto nel loro Dna. E lo hanno dimostrato in varie occasioni, dall’adesione all’euro alla difesa del libero mercato dai monopolisti, dal salvataggio dell’euro e dell’economia continentale allo storico allargamento ad Est. Certo, il confronto con queste figure sarebbe impietoso.

Gli asset di Meloni

Tuttavia, da parte sua, Meloni può fare aggio su due fattori. Da un lato la debolezza della presidente della Commissione dell’Ue, oscillante tra dichiarazioni bellicose e disponibilità a un accordo qualsiasi, dall’altro la freddezza di Trump nei confronti di tutti gli altri leader europei. Questi sono i due veri asset della presidente del Consiglio italiano di fronte al presidente americano.

L’incontro si è aperto con sorrisi e dichiarazioni di stima da parte di Trump che ha sparso miele e ottimismo sul proseguo dei rapporti commerciali con l’Ue, e persino con la Cina. Da queste premesse era probabile che sarebbe uscito qualche messaggio positivo. Il problema se per l’Italia o per Europa.

La responsabilità di un ruolo

Alla fine si è confermato un feeling personale e una sintonia ideologica. Meloni è stata incensata da Trump come la leader di punta tra gli europei, certamente la più amica. Alla presidente del Consiglio va, oltre alla gratificazione e alla ovvia soddisfazione per questi riconoscimenti. anche la responsabilità di esercitare ora un ruolo di promozione degli interessi europei, senza cedere alle lusinghe di un rapporto privilegiato.

Con la spada di Damocle che essere la preferita di Trump è rischioso. Come è possibile, dopo questi endorsement, distinguersi o al limite contrapporsi dalle posizioni del presidente quando infrange le regole come nel caso dell’assalto a Capitol Hill, il 6 gennaio 2021?

© Riproduzione riservata