A 50 anni dalla morte del militante del Fronte della gioventù il raduno concluso con il rito del «presente» e con i saluti romani. La Russa: «Favorire una vera pacificazione nazionale»
Arrivano da tutt’Italia. Sono gli stessi che, il 7 gennaio di ogni anno, si ritrovano a Roma per la commemorazione di Acca Larentia. Da anni ormai l’anniversario della morte di Sergio Ramelli, assassinato 50 anni fa a Milano da militanti comunisti di Avanguardia operaia, non è solo il ricordo di un ragazzo di 15 anni vittima della violenza politica degli anni Settanta, ma il ritrovo del neofascismo italiano. Un’Acca Latentia, appunto, rivisitata in salsa milanese. Che anche quest’anno, esattamente come gli scorsi, si è conclusa con il rito del «presente» e con centinaia di braccia tese. C’era anche Roberto Fiore, il leader di Forza nuova che nel 2021 insieme a Giuliano Castellino ha guidato l’assalto alla sede nazionale della Cgil.
Ignazio La Russa, che è stato compagno di viaggio dei più anziani tra chi era in piazzale Gorini, qualche ora prima del raduno dei movimenti di estrema destra ha partecipato alla piazza istituzionale insieme al sindaco di Milano Beppe Sala e ha battibeccato con i giornalisti che gli chiedevano conto dei saluti romani che si sarebbero sfoderati poco dopo. Quest’anno ha mandato un videomessaggio anche Giorgia Meloni, che come Ramelli ha militato nel Fronte della gioventù, le giovanili del Movimento sociale italiano. Anche se, nel 1975, la premier non era ancora nata. Ma l’anniversario della morte del militante del Fronte della gioventù aggredito il 13 marzo del 1975 e morto, dopo giorni di coma, il 29 aprile, è per la destra al governo un tentativo di «pacificazione nazionale». Per mettere da parte, una volta per tutte, le contrapposizioni ideologiche degli Anni di piombo. Tuttavia a dividere sono sempre i saluti romani, immancabile tratto neofascista che non imbarazza per niente a Palazzo Chigi.
Le sigle sono le stesse di sempre
Le sigle sono le stesse di sempre: c’erano i militanti di Casapound, di Lealtà e Azione (particolarmente forti in Lombardia), gli Hammerskin, Forza Nuova, Veneto Fronte Skinheads, Comunità militante dei dodici raggi, Rete dei patrioti. I simboli sono quelli del neofascismo, dalle croci celtiche ai fasci littori. Qualcuno ha anche tatuata qualche svastica. A essere estremamente esplicita era stata già la locandina dell’evento, che raffigura una runa Tyr, già simbolo nazista della Gioventù hitleriana e delle SS, e una freccia nel fuoco, ricorrente nella simbologia dell’ultradestra, che si intreccia nel numero 50, gli anni trascorsi dall’omicidio di Ramelli.

Oltre 2 mila persone
Quando intorno alle 21 sono partiti in marcia, secondo la Digos in piazzale Gorini c’erano circa 2 mila persone, il doppio dello scorso anno. Il silenzio era quasi religioso, l’inquadramento quasi militare («Guardate la spalla del camerata di fronte a voi»): tutti rigorosamente in fila da cinque con, agli estremi, chi reggeva le fiaccole. Il corteo, con in testa le bandiere tricolori, era aperto da una corona di fiori e da uno striscione con su scritto «Onore ai camerati caduti». In testa c’erano i militanti della Rete dei patrioti, tutti rigorosamente con giacche nere. Le direttive del servizio d’ordine era quella di non rispondere alle provocazioni di chi, dai balconi, protestava per la marcia neofascista. Intorno alcune camionette del reparto celere della polizia. Tutti osservano ma nessuno muove un dito.
Il saluto romano (con “Bella ciao” di sottofondo)
Poi si è ripetuto il copione di ogni anno. Quando il corteo è arrivato in via Paladini, sotto quella che era la casa di Sergio Ramelli, c’è stato il rito del “presente” («Camerata Sergio Ramelli! Presente!» scandito tre volte) condito dai saluti romani. Ma a rovinare il momento agli oltre 2 mila neofascisti schierati di fronte al murale in ricordo del militante del Fronte della gioventù ci ha pensato qualcuno che, dal palazzo di fronte, ha messo “Bella ciao” a tutto volume (attirando insulti e il lancio di un petardo nel condominio).
Questo non è stato solo il cinquantenario dell’omicidio di un ragazzo che nel 1975 aveva solo 15 anni, ma anche il primo anniversario dopo l’assoluzione di 23 militanti che erano indagati proprio per le braccia tese sfoggiate durante le commemorazioni del 2019. E poco importa che la procura di Milano ha scelto, proprio oggi 29 aprile, di fare ricorso contro quella sentenza. Perché per i neofascisti e stato l’ennesimo lascia passare per sfilare indisturbati per le vie di una città che è medaglia d’oro al valore militare per il suo contributo durante la lotta partigiana e la Resistenza. Il tutto, come negli scorsi anni, sotto gli occhi delle forze dell’ordine.
Il videomessaggio di Meloni
«Tutti devono fare i conti con la sua storia». Anche Giorgia Meloni è intervenuta, con un videomessaggio inviato per un evento organizzato a Palazzo Lombardia, nel dibattito sull’anniversario della morte del militante del Fronte della gioventù, nella stessa formazione giovanile del Movimento sociale italiano in cui la premier ha militato da giovane. Un mese e mezzo fa il governo ha scelto di dedicargli un francobollo, «un simbolo per generazioni di militanti di destra e di tutta Italia. Per noi un gesto molto più che simbolico», ha spiegato la presidente del Consiglio, che ha aggiunto: «Oggi quella memoria inizia a essere più condivisa, nel tentativo di ricucire una ferita profonda che deve accomunare tutte le vittime dell’odio e della violenza politica».
Meloni aveva solo due anni quando Ramelli è stato ucciso, ma chi ha vissuto da protagonista, tra le file dell’estrema destra, gli anni in cui Milano era sconvolta dalla violenza politica è Ignazio La Russa, che è stato anche avvocato della famiglia Ramelli nel processo civile.
«Ricordare Sergio», per il presidente del Senato, «non è solo un atto di memoria, ma un impegno civile affinché il sacrificio di chi ha perso la vita in quegli anni non venga dimenticato e simili orrori non si ripetano più in futuro. A prescindere dal colore politico, rigettiamo con fermezza ogni forma di odio e violenza e ci impegnano per favorire una vera pacificazione nazionale».
La Russa ormai da anni si vede alle sole celebrazioni istituzionali, a cui partecipa stabilmente anche il sindaco di Milano Beppe Sala (mai, per ora, con la fascia tricolore), ma lo scorso anno al corteo neofascista era presente la sua collaboratrice, Roberta Capotosti, che ha partecipato al rito del «presente» senza però sfoggiare il saluto romano, a differenza di quanto avvenuto nel 2014.
La «memoria selettiva» della destra
Sergio Ramelli è stato ricordato da tutti i big di Fratelli d’Italia – da Bignami a Rampelli, da Mollicone a Montaruli – e l’anniversario della sua morte fa ormai parte del calendario civile della destra italiana. Ma da sinistra si alzano voci critiche della «memoria selettiva» dei partiti al governo: «Quella tragedia ha avuto giustizia in una aula di tribunale, a differenza di molte altre tragedie che riguardano tante e tanti altri giovani uccisi in quegli anni di cui non si conoscono ancora gli assassini. Sarebbe stato bello se si fosse fatto lo stesso omaggio a tutte le vittime di quegli anni», ha detto il deputato di Avs, Filiberto Zaratti, elencando i tanti militanti di sinistra morti durante gli Anni di piombo e che, a distanza di anni, non hanno ancora avuto giustizia.
«Dal 1969 ricordiamo Cesare Pardini e Giuseppe Pinelli, l'anno dopo Saverio Saltarelli, poi ancora Franco Serantini e Mariano Lupo, nel '73 Roberto Franceschi, l'anno dopo Fabrizio Caruso e Adelchi Argata, l'anno dopo ancora Claudio Varallo, Giannino Zibecchi, Alberto Brasi, Alceste Campanile, ammazzato da Paolo Bellini, oggi condannato in secondo grado per la strage di Bologna, Pietro Bruno, Rodolfi Boschi, Gennaro Costantino, Iolanda Paladino, nel '76 Mario Salvi e Gaetano Amoroso, Luigi di Rosa, poi ancora Giorgiana Masi, Walter Rossi e Francesco Lorusso, Benedetto Petrone, nel '78 morirono Roberto Scialabba, Fausto Tinelli, Lorenzo Iannucci, Peppino Impastato, Claudio Miccoli, Ivo Zini poi Ciro Principessa e infine il romano Valerio Verbano, per il quale sfilano ogni anno migliaia di giovani nella capitale. Molti uccisi per mano dei fascisti».
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