Giorgia Meloni è tornata alla tecnica di sempre: indicare un nemico e incolparlo dei guai davanti a una platea che le chiede conto delle sue scelte. È successo all’assemblea di Confindustria, dove il presidente Emanuele Orsini ha lanciato un appello all’unità tra istituzioni, politica, imprese e sindacati per rilanciare la crescita italiana. A lui la premier ha risposto indicando l’Europa – impersonata in platea dalla presidente del parlamento europeo, Roberta Metsola – come la causa dei mali sia pubblici sia privati: colpa della «burocrazia» dell’Unione e dei «dazi interni che si è autoimposta». Un’Unione politicizzata, che sta dalla parte degli stati «ma dipende dalle maggioranze che si formano di volta in volta». Unica concessione a Metsola, che fa parte dei popolari europei e dunque della famiglia di Forza Italia (con il vicepremier Antonio Tajani seduto in prima fila): «Tu sei stata e sei dalla nostra parte».

Un intervento tutto all’attacco, dunque, che ha sparato in alto per distogliere l’attenzione degli industriali anche a costo di sacrificare – almeno comunicativamente sul piano interno – la stessa Ursula von der Leyen con cui Meloni sembrava aver ritrovato il feeling dopo l’incontro a Roma tra lei e il vicepresidente americano J.D. Vance. Anche su questo la premier ha ribadito la sua storica posizione mediana, con «il rapporto con gli Stati Uniti fondamentale» e «un dialogo che l’Italia ha continuato a facilitare e che va portato avanti con approccio più politico che burocratico».

Poche altre risposte vengono offerte sulle tre grandi questioni su cui il governo è stato interpellato: ex Ilva, automotive ed energia. Quanto alla situazione di quella che è stata la più grande acciaieria d’Europa, «c’è bisogno che tutti gli attori diano una mano» perché – guarda caso – «la situazione che abbiamo ereditato è molto complessa». Sulla crisi del settore automobilistico, l’unico margine è la speranza di una collaborazione tra Italia e Germania, «trovando una piattaforma d’azione, così ci sono le condizioni per ottenere ottimi risultati».

Anche sul capitolo più urgente, ovvero il costo dell’energia che in Italia è più alto rispetto alla media europea creando un gap competitivo per le nostre imprese, la risposta è interlocutoria. Il governo sta «lavorando a un’analisi del funzionamento del mercato italiano per comprendere se eventuali anomalie nella formazione del prezzo unico nazionale possano essere la causa di aumenti ingiustificati, perché sarebbe inaccettabile se ci fossero speculazioni». Anche qui, nemici ancora non ben identificati e la promessa di una analisi su «eventuali» anomalie, che però Confindustria denuncia da tempo. Eppure la conclusione di Meloni è altisonante: «Pensate in grande, perché io farò lo stesso».

Il patto

Al netto della scontata mano tesa del governo, Confindustria in concreto incassa un primo sì di Meloni a quello che Orsini ha chiamato «piano industriale straordinario», che però non dovrà essere solo italiano ma «unico europeo», che faccia leva sugli investimenti da realizzare con risorse sia pubbliche che private e su un abbattimento degli oneri burocratici per rimettere al centro la competitività.

L’impegno che gli industriali chiedono è concreto: lo stanziamento di 8 miliardi all’anno per tre anni (tanti ne mancano alla fine della legislatura, ma la speranza è che gli anni possano diventare cinque) per investimenti, con l’obiettivo di una crescita del 2 per cento del Pil. «Sono d’accordo», ha risposto Meloni. Il problema, però, sono sempre le risorse in questa fase di respiro corto dell’economia: «Sono già stati individuati 15 miliardi di euro grazie alla revisione del Pnrr».

Il tono trionfalistico della premier è stato al centro delle critiche dell’opposizione. «Regina delle televendite», l’ha ribattezzata il leader del M5s Giuseppe Conte. «Sembrava una dirigente dell’opposizione, per lei è sempre colpa degli altri», il commento di Matteo Renzi. Del resto Meloni ha abituato all’espediente retorico. Tanto più in una fase come questa, in cui a palazzo Chigi si concentrano dossier spinosissimi. C’è lo scontro con la Lega, che sta puntando tutto sul ponte sullo Stretto ed è decisa ad andare allo scontro anche con il Colle.

Ci sono gli industriali da ammansire nella speranza che davvero i dazi non entrino in vigore il 9 luglio, e i sindacati da affrontare alla manifestazione contro il decreto Sicurezza. Infine, incombono anche le elezioni regionali. Il pericolo da scampare è il 4 a 1 (Marche, Toscana, Puglia e Campania al centrosinistra, Veneto al centrodestra) e la premier si sta concentrando soprattutto sulla Campania, che considera più contendibile e su cui ha lanciato un doppio passo: l’America’s Cup a Napoli e il bando appena aperto per il parco Verde di Caivano. In attesa che si scelgano i candidati, tutt’altro che scontati.

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