A mostrare in modo plastico la distanza che separa Fratelli d’Italia e Lega, bastano le dichiarazioni di due ministri dopo il Cdm in cui si è approvata (senza il sì leghista) l’impugnazione della legge trentina sul terzo mandato. Da una parte il meloniano Francesco Lollobrigida che ha detto serafico: «Mi pare che ci sia grandissima tranquillità all’interno del governo» sul terzo mandato, di cui FdI sarebbe disposta a ragionare ma solo dopo che la Consulta avrà chiarito.. Dall’altra il leghista Roberto Calderoli, che ha consegnato al Corriere della sera la sua rabbia: «A mio avviso è un grave errore».

Una frattura così netta non era mai emersa in modo chiaro e la causa – in questo fonti sia di FdI sia della Lega concordano – è evidente: l’avvicinarsi delle prossime regionali, sia al nord sia al sud. Per quanto riguarda il nord, viene spiegato, «la Lega sente il fiato sul collo dei meloniani che vogliono sostituirli, a partire dal Veneto».

Le regioni del sud indirettamente entrano nello scontro: la scelta dei candidati di centrodestra al Meridione influenzerà la scelta di quelli al nord. Non a caso in tempi non sospetti il vicesegretario leghista Andrea Crippa aveva suggerito di lasciare agli appetiti di Meloni tutte le regioni del centro-sud al voto, a patto di confermare la Lega in quelle che già governa a nord.

Risultato: l’impugnazione della legge trentina, regione a statuto speciale governata dal leghista Maurizio Fugatti, è stata letta dalla Lega come il primo squillo di tromba per guidare la carica di Fratelli d’Italia in Veneto, Trentino e Friuli-Venezia Giulia.

Alla base c’è un’interpretazione opposta della sentenza della Consulta sulla Campania. Secondo FdI questa esplicitamente fa riferimento a una sua precedente sentenza sulla Sardegna (altra regione a statuto speciale) e dunque di fatto include anche le regioni a statuto speciale nell’obbligo di rispettare il principio costituzionale dell’omogeneità di elettorato passivo.

Per la Lega, invece, la sentenza «dice che le regioni a statuto ordinario hanno il limite dei mandati a due. Le regioni a statuto speciale possono definire il loro numero di mandati», ha spiegato Luca Zaia. Sarà la Corte, con la sua decisione sull’impugnativa, a dirimere lo scontro. Intanto, però, nelle regioni si sta sgretolando il mito dell’indissolubile alleanza di centrodestra sempre richiamata a Roma.

I concorrenti

Il banco rischia di saltare sia in Trentino sia in Friuli-Venezia Giulia, dove Massimiliano Fedriga ha visto i suoi assessori leghisti, forzisti e civici restituirgli le deleghe e aprire la strada alla crisi. Sul fronte di Fratelli d’Italia, la linea che filtra è quella di voler vedere quello che considerano il bluff della Lega. «Vediamo fino a dove hanno il coraggio di spingersi» è il ragionamento, che fa leva sul successo elettorale negli ex feudi di Matteo Salvini.

Diversa, invece, è la tattica leghista, che muove da una situazione molto tesa a livello territoriale, peggiorata sottotraccia di mese in mese e ora emersa nel modo più eclatante. Nelle regioni del nord i rapporti tra alleati sono da tempo ai minimi termini, dalla Lombardia al Friuli fino al Trentino, con FdI che ha sì concesso la guida della regione ma l’ha anche messa “sotto tutela” conquistando assessorati di peso.

Così ora i leghisti locali hanno deciso di partire al contrattacco: rispolverato il mantra autonomista che al nord funziona ancora, hanno stigmatizzato il romanocentrismo del governo e sono pronti a trasformare l’impugnazione alla legge trentina in una clava contro l’alleato.

Da Trento, l’ex deputato FdI, oggi con la Lega, Andrea De Bertoldi, lo spiega così: «Non ci sono palesi elementi di incostituzionalità nella nostra legge, quindi la scelta del governo è politica e inopportuna nei confronti di un Consiglio provinciale amico. Non vorrei che fosse l’inizio di una deriva nel nord-est». Tradotto? La Lega trentina è pronta a presentare una mozione di sfiducia nei confronti della vicepresidente della provincia, in quota FdI, Francesca Gerosa.

Meno d’impeto procede invece Fedriga in Friuli, dove sta prendendo tempo per decidere, mentre al Festival delle regioni ha parlato di «grande alleanza istituzionale» che ancora si può trovare tra stato e regioni sul terzo mandato. Eppure, la sua giunta rimane in bilico e le opposizioni ieri hanno lasciato l’aula «di fronte a una crisi palese determinata da questioni di potere dentro la maggioranza», chiedendo una informativa da parte del presidente «che si ostina a dire che va tutto bene».

I cinici hanno notato il silenzio sospetto di tutti gli esponenti locali di FdI. Spiegabile in un solo modo: se la Lega intende strappare, i candidati per sostituire i leghisti sui territori sono pronti. In Friuli si scommette sulla candidatura di un esponente della famiglia pordenonese dei Ciriani: più probabile il ministro Luca che l’europarlamentare Alessandro. In Trentino sono arcinote le velleità della stessa Gerosa che la Lega vorrebbe sfiduciare. In Veneto i nomi di FdI si sprecano, in testa quello del deputato veneziano Raffaele Speranzon. In Lombardia, infine, la famiglia La Russa è pronta gestire la regia per il dopo Fontana.

Con una certezza: FdI potrà reclamare una grande regione del nord ma un accordo con la Lega andrà trovato per non terremotare il governo. Dunque, anche tra meloniani, scatterà lo scontro fratricida su chi (e in quale regione) avrà il via libera per spodestare i leghisti.

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